Categorie
Codice dell'Amministrazione Digitale Pubblica Amministrazione

Smart working dall’emergenza all’opportunità

A causa dell’emergenza #coronavirus la discussione sullo smart working può passare dalla fase del confronto tra esperti – o presunti tali- all’applicazione concreta nella vita di ogni giorno in ogni Pubblica Amministrazione.

Lo smart working non è tuttavia il Messia, il migliore dei mondi lavorativi possibili.

Lo smart working è un modo di lavorare, più o meno bello, più o meno gratificante. Non sarà lo smart working a determinare se un lavoro è gratificante, retribuito correttamente, ricco di soddisfazioni.

Altro avviso ai “naviganti” e agli “entusiasti”. Il “digitale”, meglio le piattaforme digitali sono “solo” uno strumento che può consentire alcune forme di smart working.

Per attuare le attività di smart working in un Comune di medio piccole dimensione non servirà spendere nulla per acquistare nuovi applicativi o altre inutili piattaforme. Come dirò più avanti, i Comuni hanno già oggi in casa praticamente tutto. Semplicemente, oggi non usano il “tutto digitale” in modo corretto.

Faccio in premessa questa osservazione perché, letta con attenzione la circolare n. 1/2020 del Ministro per la Pubblica Amministrazione, osservo con forte preoccupazione queste prescrizioni: “utilizzo di soluzioni cloud per agevolare l’accesso condiviso a dati, informazioni e documenti” e

“nel decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 sono previste misure normative volte a garantire, mediante Consip S.p.A., l’acquisizione delle dotazioni informatiche necessarie alle pubbliche amministrazioni al fine di poter adottare le misure di lavoro agile per il proprio personale”.

Per carità, nulla di sbagliato, ma siamo sempre alla teoria. Si continua a confondere lo strumento, “il cloud” e le “dotazioni informatiche”, con le condizioni per poter lavorare in modo agile, “smart”.

Cercherò attraverso questo mio contributo di evidenziare i limiti culturali e strutturali che dobbiamo, assieme, superare per consentire di ottenere il massimo dalle piattaforme cloud e da ogni “dotazione informatica”. Naturalmente, alla fine chiederò ad AGID di accelerare il varo di uno strumento normativo senza il quale tutto sarà più difficile.

Mi scuserete se uso come esempio prevalente i Comuni ma, è il mondo che conosco meglio e che potrebbe essere il traino anche per altre P.A. che non penso siano maggiormente virtuose rispetto ai Comuni.

LA COMPLETA DIGITALIZZAZIONE DEL FLUSSO DOCUMENTALE, OVVERO, I COMUNI, GENERALMENTE, NON FASCICOLANO DIGITALMENTE

Lo smart working non è applicabile a tutto il lavoro che si svolge nella Pubblica Amministrazione. Ma, larga parte delle attività di back office e di elaborazione/predisposizione di atti programmatori e di indirizzo già oggi si potrebbero tranquillamente realizzare in modalità decontestualizzata.

Enfatizzo il termine decontestualizzazione. La decontestualizzazione delle attività -di ogni attività- è il presupposto per lo smart working.

Non importa dove tu sia, ovunque, a condizione che tu abbia una infrastruttura adeguata (device+cloud+connettività adeguata), e potrai svolgere qualsiasi tipo di attività.

Oltre alle abitudini e alla normativa (tema che affronterò più avanti), cosa ha impedito fino ad oggi lo sviluppo dello smart working?

Posso affermare senza dubbio di smentita che i cittadini, le imprese e i liberi professionisti il “loro dovere” oggi già lo fanno.

Il flusso in entrata (istanze di qualsiasi tipo) in formato digitale oggi rappresenta una dimensione che oscilla tra il 70 e 80%. La tanto vituperata PEC, le mail ordinarie, le piattaforme SUAP e SUE (le diverse piattaforme di condivisione) hanno consentito di generare un flusso in entrata supportato, in larghissima parte, attraverso formati digitali “a norma” (secondo l’allegato n. 2 al DPCM 13 novembre 2014).

Restano le altre istanze (tra il 20 e il 30%) che arrivano via posta ordinaria o vengono presentate al protocollo (allo sportello). Queste istanze, bene o male, vengono successivamente scansionate (come il CAD prevede).

In prospettiva, l’estensione dell’utilizzo di SPID ridurrà ulteriormente tale mole di istanze analogiche.

E allora, dove sta il problema, direte voi???

Il problema è che il flusso in entrata è digitale ma, le modalità con le quali si lavorano le istanze avanzate dai cittadini (il lavoro di back office che si dovrebbe potenzialmente fare in smart working) segue ancora logiche organizzative, culturali e lavorative di tipo analogico.

Il 90% dei Comuni italiani NON FASCICOLA DIGITALMENTE, o fascicola in modalità non consone a ciò che la Legge prevede. Conseguentemente anche il processo di conservazione avviene con modalità infrastrutturali digitali ma, con logiche archivistiche analogiche.

Il lavoratore che opera attraverso lo smart working oggi non potrà accedere ad un fascicolo (digitale), semplicemente perché non viene realizzato a monte del procedimento. Digitalmente esistono singoli “pezzi” di un procedimento, non il procedimento nella sua interezza.

Non è un problema di software, ve lo posso garantire!!!! Tutti i software di gestione del flusso documentale, di qualsiasi fornitore (soprattutto se iscritti al market place di AGID) consentono di fascicolare e di conservare digitalmente.

Nel flusso lavorativo permane però la vecchia logica analogica: ciò che si condivide (con diversi livelli di responsabilità e di rispetto della privacy) non è il fascicolo, ma il singolo documento.

Ovviamente questo atteggiamento determina la stampa degli atti, la firma analogica e non quella digitale, il permanere del fascicolo cartaceo ecc.ecc..

Soprattutto, questo modo di lavorare rende impossibile lo smart working in larga parte dei lavori di back office.

Come capirete non c’è niente di nuovo da comprare. Si tratta semmai di utilizzare pienamente ciò che c’é ed é a disposizione.

Per fare questo è necessaria una rilettura dei principali procedimenti e la totale riorganizzazione del lavoro in modalità digitale.

Questa è la sfida e l’opportunità che ci si presenta.

Semmai, ciò che andrebbe imposto ai fornitori (e chiarito nell’Amministrazione) è il rispetto dei principi di interoperabilità tra i diversi software gestionali. In un Comune potrò anche avere diversi fornitori, ma ciò che deve essere obbligatorio per tutti è il rilascio delle API.

Il cloud quindi è un luogo di condivisione e di fruizione “agile”, non è la panacea per tutti i mali.

Se io lavoratore decido di operare da casa (nel parco ecc. ecc.), di giorno (di notte ecc.) non potrò mai trovare lo spazio cloud “disabitato” o abitato da singoli documenti disorganici. La mia produttività sarà pari allo zero.

Peraltro, questa scelta di spingere verso le soluzioni cloud potrebbe facilitare finalmente quanto previsto dal CAD, ovvero la possibilità per il cittadino di partecipare digitalmente al procedimento che lo riguarda.

APPELLO AD AGID.

Vi prego sbrigatevi a pubblicare le nuove “Linee guida in materia di protocollo, fascicolazione e conservazione”. Inspiegabilmente, dopo la fase di consultazione, esse sono ferme.

Pubblicate le Linee Guida in Gazzetta Ufficiala, rendetele immediatamente obbligatorie, attivate la Corte dei Conti verso le Amministrazioni inadempienti.

Senza finti trionfalismi, con una buona formazione del personale e con direttive precise degli RTD si potrebbero fare importanti passi in avanti in pochi mesi.

Non servono dotazioni particolari (al netto di una “decente” connettività). Semmai, per problemi di sicurezza andranno protette le connessioni tra i device personali (BYOD) e i data base delle Pubbliche Amministrazioni.

Vanno inoltre combattute “come il corona virus” le pessime abitudini, soprattutto nel mondo della scuola di utilizzare WhatsApp come piattaforma di condivisione e di comunicazione.

COSA VA VALUTATO (VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE) PER GARANTIRE L’UTILIZZO DELLO SMART WORKING E CIÒ INDIPENDENTEMENTE DALL’EMERGENZA CORONA VIRUS

La più grande sciagura culturale e organizzativa nella Pubblica Amministrazione è la valutazione del dipendente -si fa per dire- in base alla presenza fisica nel posto di lavoro.

Le timbrature dei cartellini, le impronte digitali ecc. ecc., se utilizzati in modo burocratico, sono negativi e -come si è dimostrato- assolutamente inutili.

Per poter affermare la “cultura” dello smart working, che non è il telelavoro (dedicato storicamente a fasce residuali e a lavori non qualificati), sarà necessario affermare sempre di più una forte incentivazione attraverso obiettivi individuali e/o di team.

Ciò oggi, generalmente, non si fa. I PEG non sono concepiti in questo modo.

La realizzazione di strumenti di bilancio e/o di programmazione improntati alla decontestualizzazione saranno un bel banco di prova per lo smart working.

Ciò che andrà premiato/valutato non sarà tanto la presenza in loco, in ufficio, quanto il “prodotto” di un lavoro individuale o di gruppo in un tempo fissato, con risorse umane, materiali e finanziarie stabilite, indipendentemente dal luogo in cui si opera (decontestualizzazione) .

L’emergenza di questi mesi potrebbe costituire l’occasione per sperimentare e condividere le diverse best practice.

Nella circolare, in questo sbagliando, si continua valutare la quantità dei lavoratori che attuano lo smart working.

Ciò che invece andrà valutato in modo privilegiato, anche da un punto di vista degli incentivi salariali, sarà il risultato del lavoro decontestualizzato.

Qui ci aiuta la Circolare già citata laddove si afferma “attivazione di un sistema bilanciato di reportistica interna ai fini dell’ottimizzazione della produttività anche in un’ottica di progressiva integrazione con il sistema di misurazione e valutazione della performance.”

Cosa ci manca? Ci mancano le best practice da replicare, la cultura del lavoro per obiettivi e, soprattutto, corrette alcune metriche di valutazione.

In questo campo la Corte dei Conti potrebbe aiutare i Segretari Generali e gli OIV affermando un ruolo non più coercitivo, ma collaborativo.

Sulle metriche ritornerò, nei prossimi giorni, in un altro scritto.

Lascia un commento