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Smart cities, open data, Potenza Smart

Grazie a Sara Lorusso ho fatto una intervista sulle Smart Cities dove riusciamo a far emergere l’importanza dell’uso dei dati.

Mi permetto di riprodurla qui sul mio blog. Sono sicuro che a Sara farà piacere. D’altronde nei prossimi giorni sarò a Potenza a presentare il mio libro “Smart Cities-Gestire la complessità urbana nell’era di Internet”; Sara coordinerà la discussione.

Immersi in aree urbane in continuo cambiamento

Cominciamo col dire che cosa non è una smart city. Sicuramente non è un obiettivo da raggiungere.»

Michele risponde mentre è su un treno, «se cade la linea ci riproviamo». Poi subito prende a raccontare perché dovremmo puntare sulle città, sulle aree urbane.

Lo dice con lo sguardo di chi il Paese lo sta girando in lungo e largo, a parlare di luoghi e innovazione, incontrando amministratori e cittadini. Michele Vianello è un #nomadworker che parla di smart city puntando dritto a un’idea di democrazia.

Se non è un obiettivo, allora, di cosa parliamo quando ragioniamo di città intelligente? 

«Gli ambienti urbani sono sottoposti a cambiamenti continui. E l’innovazione che ci investe continuamente riguarda in generale la tecnologia della conoscenza. Riguarda il modo in cui le persone dialogano, tocca le nostre conversazioni. Così, ragionare di smart city significa innanzitutto capire quanto siamo pronti a recuperare valore da queste innovazioni.»

Che tipo di luogo è la città intelligente?

«La smart city è un luogo che approda ad alcuni risultati, che cresce, che costruisce relazioni. Può accadere soprattutto in aree di piccole o medie dimensioni, che possono svilupparsi così in modo intensivo, invece che estensivo, aumentando popolazione, servizi, occasioni. La ripresa economica del Paese passa da lì, dalle aree urbane.»

vianello

Più smart city tra le metropoli o in periferia? 

«Paradossalmente il percorso è più facile in una città come Potenza. In aree urbane molto grandi ci sono una impressionante quantità di informazioni generate dai sensori diffusi e una enorme mole di dati a disposizione.  Se ci confrontiamo con dimensioni minori è più facile lavorare su un pezzo alla volta, riconoscere gli stakeholder, individuare ambiti di interesse e comunità da mettere in relazione.»

Al pubblico o al privato il compito di raccogliere ed elaborare i dati?

«Una smart city è il luogo dove pubblico e privato riescono a collaborare, costruendo un sistema positivo di elaborazione  delle informazioni. E non è poi una cosa così strana. Nel mondo “degli atomi” gli accordi tra pubblico e privato non sono certo una novità: pensiamo all’attuazione negli anni dei piani regolatori. Rispetto al mondo “immateriale” facciamo ancora fatica. Altrove, a Dublino per esempio, l’asse pubblico-privato sui dati è già operativo e porta risultati.»

Attraversando il territorio, alle città (e ai cittadini) serve più tecnologia o più alfabetizzazione?

«Il punto è che non dovremmo neanche più chiederci quanto è urgente l’infrastruttura. Lanceremmo lo sviluppo di un’area urbana senza elettricità? Ecco, le amministrazioni senza Internet dovrebbero fare battaglie: un’area priva di connessione è un’area fuori da qualunque flusso. Avere o non avere Internet fa semplicemente la differenza.»

Il passo successivo?

«Poi c’è l’alfabetizzazione.»

Che ruolo hanno le applicazioni in una città intelligente?

«L’avvento delle app ha permesso a un anziano di accedere alla rete in modo semplice e magari consultare così gli orari degli autobus. Non avrebbe forse mai imparato a digitare l’intero indirizzo di un sito; ora deve solo toccare un’icona sul tablet per accedere a informazioni utili.»

L’app che dovrebbe essere realizzata? 

«Sicuramente un’app dedicata ai tributi. Si potrebbe partire anche dal livello comunale. Penso a un’app che possa garantire una relazione trasparente con lo Stato su questo fronte: oggi che un cittadino sia in debito o vanti crediti rispetto alla contribuzione deve sempre giustificarsi con un mare di carte.»

I dati stanno così in mezzo tra trasparenza e democrazia.

«Attivare questi processi di trasparenza vuol dire anche ragionare di democrazia. Ma trasparenza non significa permette a chiunque di mettere alla berlina un amministratore per il suo stipendio. Piuttosto significa avere a disposizione dati e informazioni di quell’amministrazione, dell’attività di quel sindaco, per costruire scambio, per individuare cattivi esempi, certo, ma soprattutto per recuperare le buone pratiche.»

Che ne facciamo di tutte queste informazioni?  

«Serve domandarsi quali open data servono. Pensiamo a un progetto sul risparmio energetico di un quartiere. Probabilmente sarà utile qualche informazione sulla georeferenziazione degli edifici o qualche dato sui piani di urbanistica locale: li chiederò al Comune. Ma poi dovrei anche poter attingere ai dati del gestore dell’energia: non mi serviranno, però, i consumi di ogni cittadino. Li chiederei divisi per abitazione. Avere a disposizione i dati non basta: bisogna anche imparare a capire come e quali dati usare.»

@saralorusso10

 

1 risposta su “Smart cities, open data, Potenza Smart”

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