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Nuove ideologie…open source, wifi, ecc.ecc.

I miei amici Gigi Cogo e Flavia Marzano ci invitano a discutere di open source dopo un incontro a Cagliari.

Non mi sottraggo.

Carissimi amici, raccolgo il vostro invito: parliamone.
Perdonatemi però: di cosa parliamo? Che l’uso dei software open non sia cosa per tutti è cosa assolutamente appurata. I perché sono molteplici.
Proviamo ad evidenziare il problema (meglio i problemi): nel nostro Paese -non solo nel mondo della Pubblica Amministrazione- l’innovazione, sia di processo, che di prodotto, trova forti difficoltà ad affermarsi.
L’innovazione, in quella componente che si basa sull’affermarsi di ciò che viene definito ICT, per affermarsi necessita di alcune condizioni di base:
la conoscenza delle potenzialità, e poi la consapevolezza dei risultati raggiunti e/o raggiungibili;
le risorse economiche per infrastrutturare il Paese -banda larga in primis;
la cultura continua nell’innovazione aziendale;
ecc.ecc.
Cosa c’entra l’open source, con tutto questo direte Voi.
Se l’open source, così come il WEB 2.0, il WIFI ecc., non vuole ridursi ad una cosa per alcuni adepti che discutono tra di loro, deve trasformarsi da un’ideologia ad una convenienza.
Se ciò deve avvenire va abbandonata una certa autoreferenzialità, un certo illuminismo che ultimamente sembra contraddistinguerci.
Non ha più senso l’invettiva contro la politica “che non capisce”, non ha più senso parlare tra di noi, ai nostri seminari.
Parliamo al mondo dell’impresa che va convinto che l’adozione di cloud, open ecc. consente recuperi di produttività notevoli, al mondo della politica, soprattutto al mondo progressista, anneghiamo questi temi nel mare magno della battaglia per l’innovazione in Italia.
Ambizioso, si!!!, stufo del piccolo cabotaggio si!!!, altrettanto stufo dell’autoreferenzialità del mondo web che parla solo a sé stesso senza mai rischiare niente.
Caro Gigi figurati se non sono d’accordo con l’affermazione delle prassi e le politiche dell’open government data. Ma se facciamo finta che la giornata dell’innovazione non sia stata “la balla del secolo” facciamo la fine dei “cani che abbaiano alla luna”.
La mia è ovviamente la durezza di chi vi stima, ma ritiene che se si resta al bon ton degli ultimi eventi non si va più da nessuna parte.

4 risposte su “Nuove ideologie…open source, wifi, ecc.ecc.”

Michele a volte concordo volte no… provo a motivare.

>Che l’uso dei software open non sia cosa per tutti è cosa assolutamente appurata.

Non concordo se pensi che l’unica differenza tra open source e proprietario è la licenza. Ovvero se oggi hai un bel software “per tutti” come dici tu e la ditta che lo ha prodotto, domani, decide di metterlo sotto licenza libera, diventa non più “cosa per tutti”?

>…Se l’open source, così come il WEB 2.0, il WIFI ecc., non vuole ridursi ad una cosa per alcuni adepti che discutono tra di loro, deve trasformarsi da un’ideologia ad una convenienza.

Anche qui concordo solo in parte.
Concordo sul fatto che non deve essere ideologia!
Meno sul discorso di convenienza… il software proprietario, nella pubblica amministrazione, è una cosa che non garantisce tutto quello che invece dovrebbe, ad es: interoperabilità, sicurezza, privacy, compatibilità con il sw esistente, non esistenza di backdoors, nessun vincolo con i fornitori, chiarezza della struttura dei dati, etc etc..
Se costa di più ma mi garantisce quanto sopra lo prendo.

> Non ha più senso l’invettiva contro la politica “che non capisce”, non ha più senso parlare tra di noi, ai nostri seminari.

Concordo, ma i visto che la scelta non può che essere politica (come dice giustamente Gigi il dirigente non ha alcun interesse alla transizione, visto che gli costa energie – deve imparare qualcosa di nuovo – e a volte anche soldi) allora la politica se ne faccia carico (con cognizione di causa).

> Parliamo al mondo dell’impresa che va convinto che l’adozione di cloud, open ecc. consente recuperi di produttività notevoli, al mondo della politica, soprattutto al mondo progressista, anneghiamo questi temi nel mare magno della battaglia per l’innovazione in Italia.

Possiamo anche non convincerli… le imprese sono “regolate” dal mercato… se il mercato della PA va con consapevolezza verso l’open cloud (non solo cloud please) e verso l’openness… le imprese si adegueranno se vorranno sopravvivere: dura lex sed lex quella degli ecosistemi (sopravvivono solo quelli che si sanno adeguare al cambiamento).

Grazie 🙂

Bravo Michele, bravissimo! E’ assurdo che si parli ancora di software libero ora che coloro che se ne sono appropriati e ne hanno fatto un business sono proprio loro, i vendor commerciali tanto odiati. Ma perché? Perché quello è il loro business. Quando smetteremo di parlare di open source e cominceremo a parlare dell’irrilevanza della tecnologia (e quindi la sua commoditizzazione) e della necessità di concentrare l’innovazione del settore pubblico dove questo può fare la differenza, dove esercita la propria missione e produce i propri “outcomes”?
Ho tanta paura che adesso l’open government diventi un’altra baggianata del tutto simile all’open source: va immediatamente tolto dalle mani dei tecnologi e messo in mano ai direttori delle risorse umane e finanziari, con il compito di usarlo per rendere il settore pubblico più efficace ed efficiente.
Senza offesa, ma basta barcamp e govcamp e l’autorefenzialità – come giustamente osservi – dei profeti del 2.0. Molti dei quali, è interessante notare, si sono riciclati da profeti dell’eGov o del semantic web o dell’open source. E alcuni di questi si erano riciclati persino dall’intelligenza artificiale…
La cosa che mi piace di più della “cloud” è la speranza che si porti via un po’ di questi soloni.

Mi permetto di intervenire, sottolinendo che il software open non è senza licenza, ma, comunemente a quello “closed”, ne ha una, che ne regola la distribuzione e l’uso. Appropriarsi di sw open diventa quindi possibile, ma rispettando le clausole della licenza.
Esistono altisonanti esempi di conversione di software open per scopi commrciali (Microsoft ed Apple in primis) ma hanno sempre riguardato prodotti sotto licenza BSD.

Quello che ritengo importante è che esistono illustri prodotti liberi (da openoffice a postfix, squid, dovecot, apache, firefox e thunderbird…) La coscienza comune crede che “software open=software scritto da nerd brufoloso in una buia cantina”, ma non è così. Tutti i grandi software open hanno alle spalle aziende che sponsorizzano, finanziano, sovvenzionano. Si è partiti dalle università americane pasando per SUN,HP,IBM.

Pensa se per esempio la P.A. italiana sponsorizzasse un software open per la gestione documentale, da ridistribuire poi nel territorio a tutti i suoi uffici o a chi ne ha bisogno. Si risparmierebbe sull’acquisto di molte licenze “closed” comune per comune, regione per regione, città per città. Una sola regia per gestire e risolvere un problema di molti, con un prodotto sviluppato da chi ne è in grado, e senza ogni volta inventare l’acqua calda come avviene nel “closed”. Chi desidera la sua modifica se la fa o paga qualcuno per fargliela, rendendola disponibile per tutti e contribuendo alla riuscita del software. Ovviamente quello della gestione documentale è solo un esempio, sostituibile con qualsivoglia necessità.

Altro punto notevole sono i formati. Chi crede di essere tanto furbo e bravo quando installa una copia senza licenza di Microsoft office scaricata da Internet, non si rende conto di essere la mano inconsapevole di un progetto più grande di lui, che mira alla massima diffusione possibile di un certo software e quindi di un certo formato (leggi .doc, .xls). Massima diffusione=massima possibilità di controllo, di dettare legge, di imporre decisioni. E fidelizzazione forzata, dato che il formato non è documentato e se si vuole aprire il file lo si deve per forza fare col software closed.

Come dire, per tutto servono i soldi, anche per l’opensource. Bisogna crederci e superare la massa critica di diffusione, nonchè l’avversità dei big del closed che sul loro monopolio (non dico apposta lavoro) ci marciano.

Saluti
Luca

Andrea, e’ assurdo che si parli ancora di software libero?
Magari… lo sarebbe se la PA acquisendo sw fosse sempre aware di dover garantire a sé stessa e ai suoi cittadini:
– Pluralismo e concorrenza
– Sicurezza
– Integrazione con il sw in uso
– continuità (dei dati e non solo… la cd business continuity)
– interoperabilità
– disponibilita’ del codice sorgente (almeno per ispezioni e tracciabilità)
– Proprietà delle strutture dei dati
– Proprietà del sw custom (come da art. 69 del CAD)
– Rapporto prezzo/prestazioni
– standard aperti (almeno dei dati)
– assenza di lock-in
– trasparenza
– facilità d’uso
– garanzie del rispetto della privacy
– accessibilità (anche ai sensi della L.4/2004)
– diversità (any browser ad es.)

Se tutte queste cose sono garantite posso anche rassegnarmi al fatto che la PA compri licenze chiuse.
Buona settimana
F.

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