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Gestioni “In house” e innovazione nella Pubblica Amministrazione

Se c’é una cosa che accomuna tutti, ma proprio tutti, in Italia è l’incapacità di gestire processi spesso inevitabili.

E’ evidente che, per quanto attiene il mondo dell’I.T., vanno rivisti i rapporti tra il mondo pubblico e privato.

Leggo un interessante “scambio epistolare” sulle vicende di CSI Piemonte apparso su Forum P.A..

Poiché si sa che il Governo si appresterebbe a legiferare in materia di “in house”, mi limito a qualche generalissima osservazione sulla materia.

Ovviamente mi limito solo al mondo dell’I.T..

Scenario generale: la Pubblica Amministrazione italiana ha un bisogno disperato di innovare introducendo massicce “dosi di I.T.”. Questo processo non è la digitalizzazione dell’esistente.

In presenza (meglio in assenza) di finanziamenti pubblici in contrazione, l’innovazione deve realizzarsi liberando risorse finanziarie. In parole povere l’innovazione I.T. non potrà che essere labour saving.

Questi sono processi inevitabili. Il non gestirli ti porta a subirli, con evidenti conseguenze economiche e sociali.

Le aziende che beneficiano di un regime “in house”, come dovrebbe essere noto, non possono commercializzare i loro prodotti. Come capirete è una perdita di valore e di conoscenza.

Domanda: pubblico e privato (per piacere, non ditemi che nelle in house c’é una grande distinzione) sono in grado di interpretare questa svolta culturale?

Francamente, pubblico o privato sono distinzioni che mi interessano poco.

Rispondete a questa domanda: quanti pubblici amministratori (quanti dirigenti pubblici non I.T.) sono in grado di dare una vision chiara e di gestire i processi di innovazione “disruptive” dei quali il nostro Paese ha un disperato bisogno? Chi sono coloro che nel pubboico non li subiscono?

Pochi, la stragrande maggioranza sono culturalmente inadeguati.

Capite quindi che non sono disponibile a difendere aziende in house “a prescindere” (magari decotte e con posti di lavoro in eccesso), né tantomeno ad abbracciare il potere “salvifico” del privato.

Invoco una classe dirigente adeguata, che guidi i processi di innovazione, che ne controlli l’attuazione, che si doti di staff liberi e indipendenti.

Poi, pubblico o privato, ad armi pari competano su tutti i mercati. In questo senso il regime in house non avrebbe più senso di esistere.

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