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Uomini o macchine: una generazione di cyborg #consapevoli

Fino ad ora vi ho parlato di “pianificazione” e di “sogno”.

Ho affermato la necessità che i processi di innovazione smart degli ambiti urbani siano il frutto dell’attività degli esseri umani.

D’altronde le macchine e i software sono progettati e costruiti da esseri umani.

Il genio visionario, William Mitchell affermava “Siamo tutti cyborg. Gli architetti e gli urbanisti dell’era digitale devono cominciare a riformulare la teoria del corpo nello spazio”.

La figura dell’uomo vitruviano -la figura circoscritta in un cerchio, in un ambito fisico- viene meno. Ognuno di noi ha oggi a disposizione ambiti di vita e di indagine infiniti.

D’altronde Internet distende le sue propaggini ovunque è una autostrada di informazioni infinita. Non se ne intravvedono i confini.

Il problema che abbiamo avuto fino ad ora è stato quello dei limiti della nostra natura umana. I nostri cinque sensi sono in realtà un limite.

Il luogo, il supporto cartaceo, la localizzazione precisa di una attività costituiscono in realtà limiti ben precisi all’attività umana. Non ci consentono di cogliere tutti gli aspetti del mondo che ci circonda. Sia il mondo materiale, che quello immateriale.

Cominciamo a pensare che “Google Glass” è lo strumento che ci consente di implementare la nostra vista. Ci consente di accedere al mondo della “realtà aumentata”. La “realtà aumentata” è una porta di ingresso ad una miniera virtuale di informazioni che stanno in rete.

“Siri” è la possibilità di comunicare con il nostro smart phone attraverso l’uso della voce.

In fin dei conti la tecnologia touch ci consente di guidare una macchina (infatti uno smart phone è una macchina) estendendo un nostro senso: il tatto.

E ancora, il Galaxy S4 della Samsung non è forse una estensione del senso della vista. Il kit di app che consentono di monitorare lo stato di salute del nostro corpo non è forse una estensione dei nostri sensi e, non solo?

Internet of Things è semplicemente una nuova generazione di sensori che consentono “al frigorifero di parlare con noi”, o cominciamo a concepire la tecnologia che sta alla base di Internet of Things come una straordinaria opportunità per acquisire conoscenze sul mondo che ci circonda? Si va dai livelli di qualità dell’aria, all’interazione con un mezzo di trasporto.

Ci stupiamo e ci affasciniamo. Ma, la consapevolezza sta nell’essere coscienti che noi non siamo una estensione di questi device.

Consapevolezza è che questi device devono sempre di più essere una estensione del nostro corpo.

Saranno i vendors a determinare quali “estensioni” saranno utili al nostro corpo, o la consapevolezza delle potenzialità del nuovo mondo I.T., faranno si che verranno a prevalere strumenti che ci consentiranno maggiore sostenibilità ambientale, maggiore capacità di apprendere?

Questa è un’altra sfida per dire se i processi di cambiamento dell’ambito urbano siano davvero smart o semplice “digitalizzazione dell’esistente”.

Riprendo allora la lezione di William Mitchell: siamo tutti cyborg, certamente, ma dobbiamo raggiungere la consapevolezza della nostra nuova dimensione di essere umano.

Vi ricordo i precedenti post:

“Governare o pianificare una città smart? Per uno “smart umanesimo”.

“Sognare per governare. Un approccio visionario alla Smart Cities”.

PER ULTERIORI APPROFONDIMENTI VI SUGGERISCO IL MIO LIBRO “SMART CITIES – GESTIRE LA COMPLESSITà URBANA NELL’ERA DI INTERNET”

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