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Sostenibile, inclusiva, aperta e smart: Vianello apre una finestra sulla città del futuro. Che vincerà la crisi

Grazie ad Alessio Nisi (Il Sale e la Zucca – Sui tetti di Roma) per la splendisa intervista che mi ha fatto lo scorso sabato a Roma.

La riproduco integralmente assieme al filmato.

Ha portato la banda larga a Venezia, che ha disseminato di hot spot wi-fi, ha creato un social network di dipendenti quando il ministro Brunetta faceva chiudere Facebook agli impiegati della pubblica amministrazione. E’ stato il primo a lanciare l’e-commerce di prodotti pubblici e piattaforme di cloud sourcing per migliorare l’interazione fra cittadini e cose. Ha lavorato in banca, è stato in Parlamento col Pds, poi è stato vicesindaco quando sindaco era Massimo Cacciari, adesso fa il direttore del Vega, il Parco Scientifico Tecnologico di Venezia.
“Smart Cities – Gestire la complessità urbana nell’era di Internet” (Maggioli editore) è il titolo dell’ultimo libro che ha scritto. Michele Vianello è venuto a portare il suo sogno a Roma. Affascinato, anzi rapito, dal Caffé Letterario a Ostiense («un posto straordinario» l’ha definito), capelli bianchissimi, giacca, jeans, camicia celeste, scarpe comode, al momento della presentazione fa spostare le sedie. Niente gerarchie: le idee girano meglio se ci si mette in cerchio. «E’ piú easy» dice.

Era arrivato un’ora prima. Il tempo di parlare di lavoratori nomadi, in cittá dove il tempo e lo spazio hanno abbandonato i vecchi schemi del Novecento. Di spiegare che il suo é un metodo che coinvolge amministratori, cittadini e imprese. Di dire che il primo passo è l’alfabetizzazione informatica.

Quella che domani ci dará cittá sostenibili, democratiche. Soddisfatto di Genova, il suo modello é Amsterdam «dove tradizione e innovazione si fondono». La lampadina? «Me l’ha accesa David Weinberger, incrociato a San Francisco nel 2006: mi ha fatto scroprire cos’era il web 2.0, ma anche Tim O’Reilly e quella generazione di pensatori statunitensi. “La stanza intelligente” di Weinberger dovrebbe essere testo di studio obbligatorio. Questi sono libri che spiegano la nuova economia di Internet. Studiare gli economisti del Novecento non serve piú a niente».
Michele Vianello che cos’è una smart city?
L’Italia è fatta di piccoli comuni. Il mio tentativo è di fornire un metodo per approcciare all’innovazione negli ambienti urbani. Non stiamo creando città dal nulla, stiamo intervenendo su tessuti urbani molto definiti e non su grandi città. Una città smart è un luogo dove hai metodo nel gestire l’innovazione. Il mio è un libro sul metodo e sulla consapevolezza.
Per innovazione intende cosa?
L’information technology, la vera rivoluzione che cambia le modalità di costruzione e di gestione della conoscenza. Non è la rivoluzione delle macchine, è la rivoluzione delle idee. Gli ambienti urbani sono i luoghi in cui la conoscenza si stratifica, si costruisce e si implementa in modi principali.
Esiste una città che è già avanti in questo processo?
Non esiste un approdo smart. Il processo di innovazione è continuo e veloce. Esiste la capacità di approcciarsi costantemente a questa immensa ondata di innovazione a cui stiamo assistendo.
Bologna, Milano e Genova sembrano avere un altro passo.
Genova con l’associazione smart city ha consentito di mettere insieme cittadini, istituzioni e imprese e di imbastire politiche smart, c’è un metodo e mi piace. Mi piace anche Amsterdam, un luogo antico dove si innova. Ma anche Londra e Berlino. Non è solo information technology. Ci devono essere anche politiche tradizionali: sostenibilità, e-governament. Le politiche di information technology facilitano tutto questo. Ma una città che non fa inclusion democratica potrà mettere tutte tecnologie che vuole. Non sarà mai smart.
Qual è il primo passo?

L’alfabetizzazione digitale delle persone. Se fossi l’amministratore di una città partirei da qui: dal sindaco ai dipendenti comunali. Per alfabetizzazione non intendo accendere e spegnere il computer o scrivere in word, ma uso consapevole della Rete, capacità di dare risposte, di interloquire usando la rete.
E Roma?
La Capitale avrebbe grande potenzialità, ma non è Caput Mundi.
Perché una smart city è una città migliore?
Perché usa l’information technology per ottimizzare le cose tradizionali, come le relazioni tra persone, ottimizza i sistemi di governament, ottimizza le politiche ambientali, le metodologie d’insegnamento, l’economia.

 Il principale ostacolo.
La cultura delle persone. Il tema vero è la consapevolezza. Questo è un libro sulla consapevolezza e sulle persone che sognano. Occorre pensare lungo e a come l’innovazione cambiano le regole del gioco. Non si può prendere il mondo com’è e digitalizzarlo, perché la digitalizzazione cambia le regole del gioco.
Un cittadino come può attrezzarsi perché sia più smart possibile?
Il mondo del social networking per esempio dà possibilità partecipative che prima non si conoscevano. Fa sì che energie civiche che ci sono possano emergere.
Il processo verso le smart cities è un processo lento o di rottura?
Di rottura. E’ talmente veloce. Domani si uscirà dalla crisi prima di tutto nelle aree urbane, non credo alle politiche nazionali.
E il coworking?
Sarà il nuovo modo di lavorare. L’impatto delle tecnologie farà emergere la convenienza sociale ed economica di lavorare in modo diverso.
Il lavoratore di domani sarà nomade.
Sarà svincolato dal tempo e dallo spazio, concetti della città del Novecento e del fordismo. Quando hai connettività in movimento e cloud computing tempo e spazio non hanno più una loro funzione o meglio hanno altre dimensioni. Non emerge ancora in modo diffuso perché imprenditoria e pubblica amministrazione ancora non ne hanno visto le convenienze, quando accadrà sarà un’esplosione. Oggi il tema vero è la decontestualizzazione di ogni attività. E non lo si confonda col telelavoro. Qui si parla di designer, di quelli che scrivono software, le funzioni dirigenziali: chi tratta conoscenza è un nomade. Cambia tutto.

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