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La strana guerra tra chip e cloud

Siamo proprio uno strano Paese.

Tutto il mondo, come pronosticato da McKinsey, si prepara alla contesa per la conquista e per la gestione dei dati generati dall’attività umana e da quella dei “things”.

I dati, meglio i dati gestiti ed assemblati, costituiscono una straordinaria ricchezza. I dati sono la risorsa “rara” del futuro.

Pensateci, qual’é il valore reale di Facebook, di Google ecc, se non il possesso di dati aggregati che hanno un valore economico e sociale??

Ciò è possibile perché il repository di dati (in modo virtualizzato) nel cloud -soprattutto nelle sue forme pubbliche e ibride- consente “metticciati” infiniti di dati di diversa provenienza.

Il “mio” dato non vale niente nell’universo del cloud, i “nostri” dati valgono tantissimo. Il cloud fa finire definitivamente l’epoca del “mio”. E’ iniziata l’epoca della condivisione.

Chi condivide vince. Poi, ovviamente, deve saper usare la ricchezza figlia della condivisione. Ma questo è un altro discorso.

Nell’Italia dove l’ICT è ancora troppo Telco (e banche) si pensa che i pagamenti in mobilità si debbano fare usando la scheda 3G dello smartphone.

No, cari signori, questa soluzione è figlia della cultura ottocentesca. Il centro del mondo non è più la scheda telefonica, il chip telefonico.

Il centro del mondo (oggi, tra 5 anni boh) è il rapporto tra lo smartphone (medium) e il cloud.

Ancora “più geniali” sono quelli che pensano che il “futuro” siano le card cittadine dotate di chip.

Possibile non si capisca che le informazioni generate dai trasporti urbani, dall’uso di una mensa, dalle preferenze culturali sono una ricchezza infinita da destinare al miglior governo di una città.

Perché confinare questi dati (in formato “celibe”-ossia non comunicante tra di loro) in un chip (un cortile), quando di fronte c’é la possibilità di usare lo spazio dell’universo???

Recentissimi studi documentano come sia in atto uno confronto (che influenzerà la vita e la morte delle imprese e della società nel mondo post crisi) tra le società che pensano all’ICT in modo Telco e chi agisce secondo principi OTT (over the top). Ovviamente vince e vincerà il mondo OTT.

Mi chiedo, sconsolato perché devo vivere nel mondo dei chip e non in quello del cloud?

7 risposte su “La strana guerra tra chip e cloud”

Una interessante provocazione che mi porta a un paio di osservazioni.

Io non annovererei servizi come Facebook nel grande mondo del Cloud perché così tutto quello che è in rete diventa Cloud, Cloud è una funzione che potrei usare localmente che invece decido di usare in rete e di lanciare su un sistema remoto: Google DOC è Cloud!

La guerra in ogni caso non è tra chip e cloud, il cloud lavora comunque e sempre sui chip, li ho solo spostati, la guerra se c’è è tra applicazione e storage locali e applicazioni e storage in cloud. Tra l’altro la esecuzione con il modello cloud introduce qualche maggiore complessità, credo che l’utilizzo della potenza di calcolo (chip) salga non scenda.

O no?

Roberto

Quando parlo di chip intendo quelli inseriti sulle card.
Come avrai ben capito metto in discussione un modello tlcentrico…se passa questo modello di business siamo tutti fritti…compresi i chip

gran bel discorso!
Effettivamente si pensa al chip delle card come un bisogno pari al fuoco,ma se in Italia ci fosse copertura wireless totale (lo sò, stò sognando), potremmo addirittura dire addio alle sim telefoniche (esperimento che ho effettuato con codice bidimensionale).

In realtà il mondo più evoluto va in controtendenza. In Giappone per esempio la copertura WIFI c’è praticamente solo nei bar, nei ristoranti, nei treni, quando ho chiesto a un collega dell’università di Tokio come mai mi ha risposto che la connessione via rete cellulare è così poco costosa, veloce ed affidabile che non sentono il bisogno si mettere giù altre reti e forse non hanno tutti i torti. Lo stesso nella maggior parte delle capitali europee, io il discorso della copertura globale wifi proverei a metterlo in discussione. A Venezia per esempio che è molto coperta devo andare a cercarla la connessione wifi mentre con la mia connessione telefonica sono coperto praticamente dappertutto e mi costa una manciata di euro al mese.

Un modello interessante è quello francese, io vivo in francia e sono utente sfr, mi collego dati dappertutto, ma quando c’è una WIFI in una piazza passo automaticamente a quella senza pagare e senza macchinosi riconoscimenti, l’unico vantaggio che ho è la performance e probabilmente un più ridotto consumo della batteria del telefono.

La guerra a questo punto è tra WIFI e connessione dati cellulari, ma sempre una visione tlc-centrica è, il cloud che è un modo di fornire servizi c’entra poco.

roberto

Ottimo spunto, io credo che oggi non sia ancora diffusa la percezione dell’importanza dei dati, perché siamo focalizzati sull’economia dell’attenzione, ne ho parlato questa settimana anche io in questo post.
Se guardiamo cosa fanno all’estero i grandi big, anche non hi-tech come Walmart con il suo WalmartLabs, forse dovremmo porci qualche domanda anche noi…

Caro Michele,

le diverse impostazioni su cui si sviluppa il tema dei pagamenti elettronici, e prima ancora dell’accesso al Web, risente fortemente di un approccio che tu definiresti “ottocentesco” che lega (indissolubilmente) un servizio allo strumento di fruizione.

Solo di recente – ad esempio – si è dissolto il legame pc-internet, da quando cioé si accede alla Rete anche in mobilità, anche con tablet e smartphone.
Il “servizio” posta elettronica, quindi, può essere acceduto con strumenti e reti di trasporto diversi (tablet+3g, smartphone + wifi, pc + adsl, ecc. ecc.). Quello che conta è il servizio, non lo strumento che uso per accedervi.
Analogamente, i servizi di pagamento elettonico devono potersi affrancare dagli strumenti che oggi – francamente – sono piuttosto limitati e spesso obsoleti rispetto alle tecnologie abilitanti oggi disponibili.
E’ naturale che le Telco vogliano che lo strumento esclusivo sia la scheda telefonica e i possessori di carte cittadine che sia il loro “chip”. Si tratta di conservatorismo, protezionismo, tentativo di sfruttare quanto più a lungo possibile una rendita di posizione che – tuttavia – ha già le ore contate perché la spinta tecnologica e – soprattutto – culturale, è destinata a spazzare via i vecchi schemi su cui si radicano i modelli economici e il delivery dei servizi attuali.
…o almeno così spero
marco

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