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Governare o pianificare una città smart? Per uno “smart umanesimo”.

L’interrogativo non è banale.

La cultura generalmente predominante nelle “governance cittadine” è spesso venata dalle velleità pianificatorie.

Intendiamoci bene. Un conto è voler assegnare “un destino” per la nostra città, altra cosa è pensare allo sviluppo di un territorio in modo autorefertenziale. Sogniamo un destino per la nostra città, ma dotiamoci di una moderna cultura dell’innovazione. Sogniamo, ma cerchiamo di essere sufficientemente flessibili per poter cogliere tutte le potenzialità offerte dall’innovazione ICT.

La Pubblica Amministrazione difficilmente ha oggi a disposizione ingenti risorse finanziarie tali da poter autonomamente realizzare i fondamentali competitivi. E, in tutti i casi ritiene che il suo impegno finanziario vada rivolto alle infrastrutture materiali tradizionali, strade, fognature ecc..

Una Pubblica Amministrazione potrà individuare fattori competitivi (ad es. l’ambiente, il welfare, la residenza, le opportunità lavorative) e creare le condizioni culturali e regolatorie perché i capitali umani e gli interessi economici preferiscano una città rispetto ad un’altra area urbana.

Una Pubblica Amministrazione potrà altresì vincolare l’intervento dei privati alla realizzazione di infrastrutture tecnologiche “di qualità”. Difficilmente si potrà vincolare in modo stringente tutte le funzioni territoriali come se il pallino fosse solo nelle nostre mani.

In tutti i casi i vincoli pianificatori temporalmente eccessivamente “lunghi” avranno sempre di più poca importanza.

Nel ‘900 il tempo dell’innovazione era “lungo”; era l’epoca del fordismo cittadino.

Il tempo di realizzazione e di affermazione dell’innovazione IT è invece straordinariamente breve, anzi brevissimo, influenzato come è dai tempi della curva di Moore.

La rivoluzione industriale del ‘800 e del ‘900 ha cambiato i modi di produzione “materiali” e ha consentito l’affermarsi di una generazione di prodotti (auto, televisori, sistemi di trasporto).

La rivoluzione dell’IT ha cambiato (sta cambiando) la produzione, lo scambio, le modalità di formazione della conoscenza. Anzi, il dato (BIT), è diventato merce.

Che cosa è “the Big Data” se non la produzione di conoscenza digitalizzata che diventa merce.

Soprattutto, la città può in modo centralizzato (top down) e verticale essere narrata da un’entità governativa attraverso il “marketing territoriale”?

Quando milioni di persone postano sui social network uno scritto, un filmato, una fotografia non hanno forse narrato la città con occhi indipendenti. Quando poi taggano e lasciano i loro like non hanno forse espresso delle preferenze, dei giudizi indipendenti?

Possiamo dire allora che oggi le città sono narrate sul web dai “city user” e allo stesso tempo le città si narrano attraverso le milioni di voci di chi le abita.

L’insieme di questi fattori costituisce uno straordinario valore per le Governance cittadine che sappiano usare questo potenziale evocativo/narrativo che nasce dal “moderno cittadino”.

Come capirete quindi il soggetto che va riportato al centro della narrazione/trasformazione (l’io narrante potremmo definirlo) continua della città smart è il genere umano.

Può finire così l’epoca della “digitalizzazione dell’esistente” e del “lampioni intelligenti con il wifi”; potrà iniziare finalmente l’era dell‘ umanesimo smart.

Vi ricordo il mio libro “Smart Cities – Gestire la complessità urbana nell’era di Internet” edito da Maggioli.

 

 

3 risposte su “Governare o pianificare una città smart? Per uno “smart umanesimo”.”

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