So che é più bello parlare di “finto” e di “vero” FOIA come se fosse una religione. È sicuramente più difficile organizzare la trasparenza.
Ormai sono passati un po’ di mesi dall’approvazione della legge istitutiva del FOIA e dal varo delle linee applicative dell’ANAC.
Siamo ormai alla consultazione on line della circolare ministeriale sull’applicazione del FOIA (è scaduta il 19 maggio).
Cominciano ad apparire le prime indagini sul modo con il quale le P.A. interpretano la legge sul FOIA di fronte alle richieste di “accesso civico generalizzato”. Segnalo in particolare quella fatta da “Diritto di sapere” dal titolo significativo “Ignoranza di Stato”.
Mi permetto di segnarla perché la domanda di accesso generalizzato è stata rivolta ai diversi soggetti del mondo che compone la Pubblica Amministrazione, -in primis la sanità- e non solo ai “soliti” Comuni.
L’unico difetto della ricerca è che i richiedenti rappresentano prestigiose Associazioni (e un giornalista del Fatto Quotidiano che chiede gli scontrini dei Sindaci “sic.”). Le domande di accesso non sono state avanzate dai “normali cittadini”.
Insomma, il FOIA diventerà una cosa importante se sarà utilizzato dai “normali” cittadini, individualmente, o organizzati. D’altronde il FOIA è stato concepito per i normali cittadini (così recita l’art 1 comma 1 della legge:),
«Art. 1. (Principi generali) - 1. La trasparenza e' intesa come accessibilita' totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attivita' amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.
più che per le Associazioni o per i “giornalisti d’assalto”.
Ciò che dovrà alla lunga affermarsi sarà un uso “civico” del FOIA, più che un uso “giustizialista” o di “criminalizzazione” della Pubblica Amministrazione.
Ovviamente perché tutto ciò si realizzi dovrà consolidarsi un circuito virtuoso nei rapporti tra le Pubbliche Amministrazioni e i cittadini.
Dal mio punto di vista, ritengo che le P.A. oggi non rispondano alle istanze di “accesso generalizzato” -ma, anche al tradizionale “accesso agli atti”- perché figlie di una cultura del “riserbo” e dell’autoreferenzialità alla quale sono state educate da sempre.
Soprattutto, perché il loro modello organizzativo e di digitalizzazione non è orientato alla trasparenza.
È singolare che sia l’ANAC (l’Autorità che si occupa della lotta alla corruzione) e non la “politica legificante” ad indicare come la “trasparenza”, valore fondante di una P.A., debba essere organizzata.
L’ANAC nella sua circolare del 13 ottobre del 2016 esplicitamente, afferma la necessità che la trasparenza sia organizzata, che gli obiettivi da attribuire ai dirigenti e ai dipendenti siano traguardati anche ad obiettivi di trasparenza e di liberazione dei dati, ecc.. “Nel novellato art. 10 del d.lgs. 33/2013, che prevede l’accorpamento tra programmazione della trasparenza e programmazione delle misure di prevenzione della corruzione, viene chiarito che la sezione del PTPCT sulla trasparenza debba essere impostata come atto organizzativo fondamentale dei flussi informativi necessari per garantire, all’interno di ogni ente, l’individuazione/l’elaborazione, la trasmissione e la pubblicazione dei dati.”
Ma, come si misura (come si pesa) la trasparenza??? Come di definiscono e si valutano gli obiettivi??? Come si imposta un Piano triennale di obiettivi??? Come si valuta il raggiungimento degli obiettivi??? Come il diritto alla trasparenza, deve conciliarsi con il diritto alla privacy??? Gli OIV cosa stanno certificando???
Ad esempio, un sito istituzionale a norma (Linee Guida AGID) quanto vale in termini di pesatura??? un corretto processo di fascicolazione degli atti come viene valutato???
Molti di voi mi risponderanno che le Pubbliche Amministrazioni devono dotarsi obbligatoriamente di un Piano per l’anticorruzione e la trasparenza e che lì, in quell’atto, troveremo risposta ai nostri interrogativi.
Anche per attività professionale sto monitorando i Piani per la trasparenza di alcuni Comuni medio grandi (Comuni perché è il mio mestiere; prima o poi vorrei monitorare anche la sanità). L’approccio, senza offesa per nessuno, è generalmente eccessivamente burocratico.
Manca totalmente nei Piani pubblicati una relazione credibile tra obiettivi, pesatura, azioni.
Non è sufficiente scrivere “Anche per il 2016, essa si articolerà nelle seguenti azioni: – comunicazione a tutti i Settori dell’Ente dell’avvenuta approvazione del Programma e indicazione del link dal quale accedere al Programma stesso; – pubblicazione di uno specifico avviso all’interno della procedura di rilevazione e gestione delle presenze (consultata da tutto il personale che dispone di un computer).”
Per carità, tutte cose da fare, ma, è necessaria a questo punto una metodologia e una cultura organizzativa e gestionale, oltreché proporre e realizzare modelli che consentano di misurare, pesare, monitorare, rendicontare all’intera collettività (ecco il FOIA all’opera) queste attività.
Forse è il momento di mettere in campo, con adeguati poteri, quella figura di manager per la transizione che il Codice dell’Amministrazione Digitale prevede al servizio della Pubbliche Amministrazioni.
Il Piano per la Trasparenza dovrebbe inoltre essere oggetto di confronti e di momenti di consultazione con i cittadini.
La semplice pubblicazione del Piano in Amministrazione Trasparente non è più sufficiente.
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