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Dati e open data

8 consigli ai Sindaci che vogliono utilizzare i dati

“POTREBBE COSÌ INIZIARE L’EPOCA DEL WELFARE FINANZIATO DALLA SOCIALIZZAZIONE DEI DATI, PIUTTOSTO CHE DALLA TASSAZIONE”

Si è aperta una discussione sulla capacità (possibilità) di utilizzare i dati da parte delle Amministrazioni Comunali.

Il recente evento, organizzato dal FORUM PA sulle smart cities, ha offerto l’opportunità di sviluppare un confronto serrato.

Questa discussione è apparsa però venata da qualche lettura un po’ “superficiale”.

  • Vengono esposti i generici luoghi comuni sulla incapacità delle P.A. nel gestire il “mondo digitale”;
  • Conseguentemente viene avanzata la richiesta pressante di dotarsi di adeguate “competenze digitali”;
  • Parallelamente imperversano i cultori delle “smart cities”. In particolare oggi vanno molto di moda le meraviglie di Internet of Things.

Di seguito ho provato, semplicemente, ad elencare alcuni ostacoli da superare se vogliamo che le Amministrazioni Comunali e il mondo dei gestori delle public utilities, comincino ad abozzare una strategia per valorizzare i dati che vengono da essi prodotti.

  • Esiste un problema culturale “grande come una casa”. Né un Sindaco, né un Dirigente apicale di un Comune sanno che un dato (informazione strutturata) può generare una qualche utilità. D’altronde, nel background di un Sindaco non sono richieste queste competenze specifiche. Al massimo la cultura degli open data ha fatto qualche breccia nei nostri Amministratori. Si è consolidata, cioè, l‘idea che i dati (quali???) vanno messi a disposizione degli innovatori (startup, hacker civici), i quali ne trarranno una qualche utilità. In tutti i casi un hackaton è un bel momento di marketing politico del quale fregiarsi verso l’elettorato più giovane o, in tutti i casi, verso l’elettorato culturalmente più avanzato. Grazie alla “cultura” (se vogliamo chiamarla così) dei nostri “guru digitali” i dati, ma anche l’utilizzo delle stampanti 3D (makers) sono diventati moda e marketing. Questa cultura, nei suoi aspetti più markettari, va combattuta.
  • La cultura che, all’opposto, dobbiamo diffondere tra gli Amministratori e i Dirigenti pubblici (fra le imprese che gestiscono le public utilities in particolare) è che il dato costituisce una fonte potenziale di ricchezza e di valore sia economico, che sociale per una comunità. Tutto ciò ad una condizione, quella che le Pubbliche Amministrazioni imparino ad utilizzare i dati in loro possesso. Vorrei ricordare a tutti noi come il legislatore, più volte, abbia sancito l’utilizzo del dato “anche per finalità commerciali”. In questo modo ha introdotto nella giurisprudenza un principio privatistico nell’utilizzo del dato “liberato e condiviso”. Ma, ciò non toglie che una P.A. non possa e non debba utilizzare il dato, anche essa, per generare un valore economico da restituire alla comunità che essa amministra.
  • Ma, di quali dati stiamo parlando? Banalmente l’anagrafe di un Comune è una formidabile banca dati che, opportunamente trattata, potrebbe fornire una profilazione dei bisogni e dei servizi dei cittadini. Un dato anagrafico, opportunamente georeferenziato, potrebbe essere uno strumento flessibile da utilizzare per le attività di pianificazione. Sempre di più oggi lo strumento pianificatorio andrà considerato in modo flessibile. Una città andrà letta e programmata (per quanto possibile) nel suo divenire. L’innovazione digitale (e i fenomeni legati ai processi di globalizzazione economica-sociale) ha messo in crisi l’idea tradizionale della pianificazione autoreferenziale. Ma, allora, le governance cittadine avranno bisogno di basi cognitive (da dato a informazione) più precise e flessibili di quelle che hanno avuto a loro disposizione fino ad ora.
  • Se oggi, in un Comune, dovessi, nella mia attività consulenziale, programmare un utilizzo e ua valorizzazione dei dati, inizierei da un censimento delle banche dati. Tale censimento dovrebbe riguardare le basi dati del Comune ma, soprattutto quelle dei gestori delle public utilities. Ovviamente dovrei darmi un metodo e delle priorità nell’individuazione delle banche dati “utili”. Sceglierei a questo punto di prendere in considerazione le banche dati di carattere “sociale” e quelle dei dati che provengono dalla gestione, sia la più tradizionale che i dati generati dai sensori (I.O.T.) utilizzati dalle varie public utilities (banalmente sistema idrico integrato, energia, semaforica e sistema trasportistico più in generale).
  • Naturalmente questi dati, presi di per sé, saranno inutilizzabili. I dati andranno strutturati e messi in connessione tra di loro. A questo punto il tema della interoperabilità assumerà un carattere strategico, poiché oggi la cultura prevalente del dato (ecco la responsabilità dei capo centro e dei custodi della privacy estrema) fa si che esso sia custodito in silos verticali, intercomunicabili fisicamente e nella semantica adottata al momento della generazione del dato.
  • Questa fase di pulizia e valorizzazione dei dati andrà condotta facendola orientare dal “modello di valore” che si deciderà di adottare. Il consiglio che mi sento di avanzare è quello di partire dalla adozione di modelli di predittività. La predittività potrà essere rivolta alle capacità manutentive di una rete (le cosiddette smart grid), partendo dal presupposto che un intervento ex ante sulla rete idrica genererà risparmi evidenti evitando la dispersione; la predittività ci consentirà di valutare se una rete trasportistica abbia un ancora il motivo di essere garantita in alcune fasce orarie; la predittività ci consentirà di valutare l’efficienza energetica di un fabbricato, di un quartiere ecc.. Il valore economico prodotto nel tempo dagli strumenti di predittività consentirà ad una Amministrazione di finanziare politiche di welfare. POTREBBE COSÌ INIZIARE L’EPOCA DEL WELFARE FINANZIATO DALLA SOCIALIZZAZIONE DEI DATI, PIUTTOSTO CHE DALLA TASSAZIONE. Finalmente potremo discutere di “dati di pubblica utilità”.

Michele Vianello dati PA

  • Ovviamente l’Amministrazione (e i gestori delle public utilities) avranno bisogno di competenze e di strumenti diversi rispetto ad oggi. Evitiamo a questo punto di parlare genericamente di competenze digitali. Serviranno competenze ben precise nel campo degli analytics e della predictive. Queste competenze oggi non sono presenti nel mercato di chi si offre alle P.A.. Fare un sito e gestire i social, non è la competenza che ci serve. Queste competenze però sono presenti nelle Aziende che si occupano di dati. Le Amministrazioni potranno invece dotarsi di competenze umanistico sociali e organizzative. Ricordiamoci che il dato viene reso utilizzabile ex post rispetto ad una scelta programmatica e pianificatoria “flessibile”. Abbiamo bisogno di politici (Sindaci in primis) e amministratori che abbiano una vision coraggiosa. Il dato grezzo è a loro disposizione e verrà reso utilizzabile in base agli obiettivi più o meno ambiziosi che una Amministrazione si sarà data.
  • Se il legislatore esplicitamente chiede alle Amministrazioni di utilizzare i dati, lo stesso legislatore dovrà togliere i lacci e i lacciuoli che impediranno, anche alle Amministrazioni più avanzate, di imboccare la strada della valorizzazione del dato. Come è noto –o forse sono troppo ottimista- la valorizzazione dei dati passa per l’adozione di piattaforme (di algoritmi) sofisticate. Dove le trova oggi una Amministrazione? Sul MEPA? In CONSIP? Qualcuno pensa davvero di sviluppare algoritmi e piattaforme basandosi sulle ottime ma, insufficienti, professionalità presenti nei servizi sistemi informativi del Comune? A questo punto abbiamo bisogno di relazioni e interlocuzioni molto strette con chi, nel mondo delle aziende, dell’Università e della ricerca si occupa (ricava business) dalla gestione e dal trattamento dei dati. Le aziende andranno incentivate, oltre che allo sviluppo di servizi e di software più tradizionali, ad offrire competenze (anche quelle economico sociali) che consentano alle Amministrazioni e alle comunità di adottare una diversa capacità di governo delle loro città.

Michele Vianello offerta

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