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Digital Transformation

Storie di parrucchiere e di “disoccupati digitali” (puntata numero 1)

Michele Vianello-analogico-digitale

Alcune riflessioni sui motivi per i quali l’economia digitale non potrà risolvere, da sola, i problemi del mondo

In questi giorni mi sono messo a riflettere sull’impatto del digitale sulle nostre economie e sulle nostre vite. Ne è uscito un lungo post. Ho deciso perciò di suddividerlo in tre puntate, Quella di oggi é la prima puntata.

Ho avuto occasione, qualche giorno fa, di intercettare il dialogo tra due madri.

Una delle due era soddisfatta perché sua figlia, dopo un corso di formazione, aveva trovato un lavoro come parrucchiera. Semmai la mamma era preoccupata perché, se sua figlia non avesse frequentato anche un corso da estetista, avrebbe avuto nel futuro meno sicurezze.

In una qualche misura questa riflessione, di una umanità sconvolgente, mi ha commosso e mi ha indotto a qualche riflessione.

Noi siamo sempre tutti tesi a ragionare del “digitale”, troppo spesso pensiamo a Internet come ad una medicina che guarirà tutti i mali del mondo.

Ci dimentichiamo che milioni di persone, come quella madre, non hanno un orizzonte di vita o obiettivi incentrati sullo sviluppo del digitale. La verità è che stanno bene lo stesso.

Il nostro mondo, troppo spesso, è autoreferenziale. Il nostro mondo si nutre delle sue certezze, magari “postate” su Facebook.

 

Il Corriere della Sera ha pubblicato un interessante articolo di Lucrezia Reichlin “L’epoca buia dei mezzi lavori”.

Nell’articolo la Reichlin commenta le osservazioni di Mario Draghi e di Janet Yellen (Governatrice della Federal Reserve).

Mi limito in questa sede a riportare questa osservazione. “Dice la Yellen … altri dati mostrano come -anche se la disoccupazione è in declino – ci sia un aumento della sotto occupazione, cioè del numero di coloro che lavorano poco perché non trovano un impiego a tempo pieno, e una diminuzione del tasso di partecipazione, cioè un aumento di coloro che il lavoro non lo cercano neanche più”

Anche se la Yellen si riferisce agli USA, questa analisi é largamente assimilabile anche all’Italia.

In questa situazione dell’economia mondiale, come leggiamo e inquadriamo le dinamiche dell’economia digitale?

Da troppe parti si fantastica che il “digitale” sia una risposta sia alla disoccupazione giovanile che al bisogno di innovazione di cui necessita disperatamente l’Italia.

Prevengo subito una osservazione. “Sei un consulente digitale. Chi te lo fa fare di introdurre questi distinguo e di complicarci la vita?” Proprio perché lavoro per una espansione “intelligente” del digitale sono interessato ad indagarne tutti gli aspetti, anche quelli negativi. Soprattutto, ritengo necessario che si valuti l’impatto del digitale su una economia in recessione e su una società “priva di certezze” e di “punti di riferimento”.

Non ritengo sia corretto illudere molti giovani con l’idea che fare una startup -magari digitale – sia una soluzione ai loro problemi di vita.

 

a) dall’analisi di Janet Yellen si rafforza l’idea che la disoccupazione e la precarietà vadano di pari passo.

Difficilmente sarà possibile rispondere alla “precarietà” che caratterizza il mercato del lavoro, anche quello digitale, utilizzando le regole previste dai vecchi contratti di lavoro e dallo Statuto dei lavoratori. Come capirete non sono un seguace della Camusso.

In tutti i casi il “digitale” può generare occupazione nelle grandi fabbriche -dove vigono le antiche tutele- come in una startup innovativa dove vige un regime di flessibilità.

All’opposto la “grande industria digitale” – che non è mai eguale a sé stessa (…vero BIG BLUE, vero CISCO?) – spesso produce disoccupati. I recenti casi di Microsoft, Nokia, Cisco, stanno lì ad indicare che “digitale” non sempre è sinonimo di sviluppo occupazionale.

D’altronde, startup, spinoff, “i vari competenti digitali”, rappresentano il mondo della precarietà, della sotto occupazione, delle Partite IVA.

Non basta diffondere le stampanti 3D e gli startupper per rispondere ad un bisogno che è assieme di lavoro (e questo non solo tra i giovani) e di tutele che non siano quelle irripetibili del secolo scorso.

E in tutti i casi, per molti anni, una parte rilevante della popolazione cercherà, come quella mamma, occupazione “gratificante” e “redditizia” in mondi che non c’entrano per nulla con il “digitale”.

Detto in altre parole, molte persone, se non saranno chiari i vantaggi del “digitale”  non saranno assolutamente interessate alla sua espansione. Il mondo digitale è troppo spesso “autoreferenziale” nonostante predichi le virtù della condivisione.

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