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Codice dell'Amministrazione Digitale

Delegificare la P.A. e alfabetizzare gli Amministratori….serve una rivoluzione culturale

Ho rilasciato una intervista al Corriere delle Comunicazioni. La riporto di seguito integralmente.

Un ringraziamento particolare alla mia intervistatrice Federica Meta, ha riportato perfettamente il mio pensiero.

Fare una rivoluzione culturale, e non solo tecnologica.È questa il “segreto” perrendere una città smart.

Michele Vianello uno dei massimi esperti italiani di “città intelligenti” spiega al Corriere delle Comunicazioni perché l’Italia è al palo e quali strade imboccare per recuperare il ritardo.

Vianello perché le nostre città faticano a diventare smart? Perché l’approccio da cui partono le strategie è sbagliato. Si pensa che sia sufficiente inserire “pezzi” di innovazione nel tessuto urbano.

In Italia abbiamo centri urbani intelligenti perché dotati di lampioni

innovativi, di wi-fi gratuito o ancora perché utilizzano tecniche di smaltimento

rifiuti all’avanguardia. Tutte iniziative che vanno bene – per carità – ma che, se non inserite in un piano sistemico, servono a poco. Detto in poche parole: bisogna saper gestire la complessità urbana nella sua specificità territoriale, cavalcando l’innovazione.

Detto così sembra facile, ma in termini pratici cosa si può fare?

Ricorrere a una pianificazione strategica potrebbe essere utile?

È proprio questo tipo di pianificazione che va evitata. Oggi non è più possibile pensare di progettare una città definendone le caratteristiche di qui a 20 anni perché la tecnologia viaggia a velocità rapidissima. Purtroppo gli urbanisti ancora oggi han no in mente spazi urbani novecenteschi, mentre la città del futuro è un “non luogo” da plasmare. E anche chi si occupa di Marketing Strategico Territoriale, in realtà, porta avanti una forma di autoreferenzialità che non è adatta alle novità e alla smart city, la quale ci spinge a guardare non solo al nostro territorio ma anche al territorio degli altri, agli altri.

Apertura e sguardo verso il futuro.

Ma sono le amministrazioni che dovrebbero rendere le città intelligenti. E spesso le PA italiane sono incastrate in dinamiche, appunto, novecentesche…

La precondizione essenziale per fare politiche smart è delegificare l’amministrazione.

Lo dico con molta franchezza: fatto salvo un tetto di risorse economiche certe, i modelli organizzativi di ogni singolo ente dovrebbero essere demandati alla responsabilità degli organismi politici o dei dirigenti, degli insegnanti, dei giudici non a tomi di norme scritte che ingabbiano il cambiamento. Ognuno di questi soggetti risponderebbe poi dei risultati economici e del livello di efficienza raggiunti. Quindi io dico: accantoniamo il Cad e battezziamo un nuovo modo di fare e di essere amministrazione. Solo così possiamo pensare di realizzare l’Agenda digitale, di cui le smart city sono uno dei pilastri.

In questo contesto qual è il ruolo dei cittadini?

Il cambiamento che ho in mente riguarda la pubblica amministrazione e i cittadini insieme, in una sorta di percorso comune. Se la PA cambia,ai cittadini devono essere dati gli strumenti per sfruttare questo cambiamento, per diventare consapevoli di cosa l’IT può offrire in termini di miglioramento di qualità della  vita. In questo senso il tema dell’alfabetizzazione digitale diventa centrale. Ma bisogna sgomberare il campo da alcuni equivoci: formare i cittadini non significa insegnare loro ad accendere e spegnere il pc, ma accompagnarli a sfruttare le potenzialità della Rete e far capire che, oggi, è lì dentro che si fa cultura, lì che si fruiscono i servizi. E soprattutto è lì che si interagisce con le istituzione sui problemi urbani, che poi sono sempre gli stessi: il traffico, l’inquinamento, la governance. Amministrazioni e cittadini

devono essere protagonisti di una rivoluzione della conoscenza.

La smart city è partecipata?

Social network e altre piattaforme di condivisione – Wikipedia e Wikinomix, ad esempio – ci consentono di cambiare l’approccio: o si sfruttano  queste innovazioni per cambiare le città o rischiamo semplicemente di digitalizzare l’esistente, non cogliendo le potenzialità dell’Ict per generare valore e migliorare il contetso urbano. Nelle città intelligenti devono vivere cittadini e amministratoriintelligenti.

Non ha mai fatto cenno alle infrastrutture. La banda larga è un driver essenziale…

Ovviamente sì. Come ritengo non più procrastinabile delegificare e investire in cultura digitale, ritengo altrettanto imprescindibile spingere sulla banda larga e ultralarga. Una

città non è smart se non ci sono le condizioni infrastrutturali per essere collegati al web, ovviamente. Tuttavia non è una condizione sufficiente. La città intelligente è il luogo che cambia il modo di vivere. Se la conoscenza virtualizzata è diffusa ed accessibile viene meno una delle costanti della città contemporanea. Mi riferisco alla contestualizzazione dei luoghi e del tempo. Oggi l’idea di attività lavorativa è legata ad un orario e ad un luogo. Ma se la conoscenza è disponibile in ogni luogo, viene meno l’obbligo di legare spazio e tempo. Le attività possono essere decontestualizzate generando benefici immensi per glispazi urbani.

Michele Vianello 

per chi volesse approfondire consiglio la lettura del mio libro “Smart Cities-Gestire la complessità urbana nell’era di Internet” e il mio ebook “Una scommessa da vincere”

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