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Digital Transformation

La sinistra e la rivoluzione digitale.

Le riflessioni di un “eretico disincantato”

Quelle che seguiranno sono le prime riflessioni di una persona che “ha fatto politica”, che, seppure disincantata e lontana, continua a coltivare nel cuore e nella mente passioni civili; una persona che professionalmente “tratta con delicatezza” la rivoluzione digitale.

Con queste preliminari avvertenze leggete, se ne avete voglia, questo scritto.

L’Amministrazione Obama ci lascia in eredità il bel documento “Preparing for the future of artificial intelligence”.

Molti hanno letto questo documento pensando alle previsioni sullo sviluppo delle tecnologie digitali.

In realtà quello presentato dal Gruppo di lavoro della Casa Bianca è un documento politico, figlio di una riflessione approfondita; é un programma, destinato ai Governi (e ai partiti) che vogliano predisporre una propria iniziativa:

  • per favorire la predisposizione di politiche industriali di sviluppo dell’intelligenza artificiale (del digitale);
  • per favorire la prevenzione degli effetti che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale (del digitale) avrà (ha già) sulla distruzione di posti di lavoro e sull’incremento delle nuove povertà.

È la prima volta che un Governo affronta in modo compiuto il tema del welfare state nell’epoca del digitale.

Lascio ai lettori la valutazione delle proposte che la Casa Bianca avanza in materia di riqualificazione dei lavoratori, di cambiamento dei modelli e dei contenuti educativi, di gestione del mercato del lavoro, di proposte nel campo assicurativo e previdenziale.

Mi limito a sottolineare che, finalmente, il digitale è valutato nel suo duplice manifestarsi, sicuramente una rivoluzione per l’umanità ma, come ogni rivoluzione, il digitale genera anche effetti pesantemente negativi.

Gli aspetti negativi della rivoluzione digitale riguardano tre versanti della nostra società:

  • la distruzione di posti di lavoro per effetto dell’espasione delle tecnologie digitali, senza che questi siano rimpiazzati da nuove opportunità figlie del digitale. Come ha scritto Jerry Kaplan (Le persone non servono. Lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza artificiale) “I segnali d’allarme sono ovunque. Le due grandi piaghe del mondo moderno sviluppato, la costante disoccupazione e la disuguaglianza di reddito in aumento, affliggono la nostra società nonostante la nostra economia continui a crescere.” Nonostante il taglio divulgativo/giornalistico leggete anche “Allarme lavoro, entro vent’anni scompariranno cinque settori– La Stampa”.
  • l’aumentare della disparità nella distribuzione del reddito generato dall’economia digitale. Ha scritto Jaron Lanier (La dignità ai tempi di Internet. Per un’economia digitale equa) “Il tipico ritratto manicheo dei mondi digitali è nuovo contro vecchio. Il crowdsourcing è nuovo, mentre i salari e le pensioni sono vecchi.” La cultura del “nuovo” contro il “vecchio” ha generato in Italia qualche evidente disastro culturale e politico.
  • l’affermarsi diffuso, nelle piattaforme web, di una attività di disinformazione e di un conseguente clima di odio e di intolleranza. Le piattaforme web possono anche diventare un luogo di manipolazione di informazioni e di sapere. Purtroppo ciò sta diventando prevalente. In queste settimane le elezioni americane e il referendum italiano hanno posto alla nostra attenzione questo tema complesso e delicato.

A tutti gli effetti è finita l’epoca del positivismo ingenuo che attribuiva alla diffusione del digitale ogni virtù e pregio per risolvere i problemi dell’umanità intera.

In Italia questa cultura che chiamerò del neopositivismo digitale, ha avuto effetti nefasti e ha contribuito ad offuscare la dura realtà di un Paese in declino sociale e culturale.

Lo storyteling neo positivista non ha potuto nascondere le antiche magagne economiche e sociali che affliggono il nostro Paese.

All’opposto è drammaticamente errato adottare idee neo luddiste; la rivoluzione digitale non è arrestabile. Tuttavia, la rivoluzione industriale non è “la fine della storia”.

Come ha fatto la Casa Bianca, assieme a politiche di sviluppo del digitale (ad es. in Italia Industria 4.0- v.documento delle Commissioni Parlamentari) è necessario ripensare alle politiche del welfare state soprattutto sotto il versante dell’istruzione e della riqualificazione professionale, nonché le storiche reti di protezione sociale.

La struttura del welfare novecentesco non sta più in piedi costa troppo e, soprattutto, non tutela più nessuno.

Scriveva nel 1984, con straordinaria preveggenza, un grande pensatore italiano Vittorio Foa (La Gerusalemme rimandata. Domande di oggi agli inglesi del primo novecento) “Finché vi sarà bisogno di gente per lavorare sarà impossibile privarla della libertà di volere. Non vi è ragione di pensare che lo stesso non debba avvenire anche oggi, con la rivoluzione informatica. Vi è una organizzazione informale del lavoro che sfugge alle decisioni del management, come vi è una organizzazione informale della vita che sfugge a qualsiasi governo.”

Sicuramente la sinistra italiana (ed europea) se volesse marcare una propria identità culturale e parlare ai mondi giovanili che le sono drammaticamente lontani –il risultato referendario è una palese dimostrazione di tutto ciò- dovrebbe ripensare e riinterpreatre i fondamentali programmatici che la hanno resa vincente per lunga parte del novecento.

Il consenso dei millennials è difficilmente conquistabile parlando acriticamente di digitale, tessendo le lodi ai makers, agli startupper e non affrontando i drammatici problemi delle partite IVA, vittime del welfare novecentesco. Renzi ha ammesso che “abbiamo perso nelle fasce sociali tra i 30 e i 40 anni”. Appunto.

Riflettere, leggere, cambiare orientamento, pensare con orizzonti lunghi sembrano essere attività sacrificate a facili celebrazioni degli eroi digitali, ai “mostri” quindicenni della stampante 3D.

Il digitale non è una religione da celebrare, non ha bisogno di sacerdoti e di digital champion.

Il digitale è una rivoluzione positiva nella sua possibilità di moltiplicare la conoscenza, di riappropiarsi del lavoro, di incentivare la cultura dello scambio, di creare le condizioni per rendere efficiente e trasparente la Pubblica Amministrazione.

Ma, come in tutte le rivoluzioni “disruptive”, il digitale lascia sul campo morti e feriti.

Forse è bene che la politica riprenda ad occuparsi di questi argomenti.

michele-vianello-smart-cities

2 risposte su “La sinistra e la rivoluzione digitale.”

Mi occupo di crediti e di tecnologie del 1980, e tutti noi abbiamo sempre detto che il problema era appunto quello che le tecnologie non avrebbero creato uguaglianza vedi che il benessere sarebbe stato superficiale e non duraturo e soprattutto non diffuso.

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