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I conservatori dell’I.T. e l’ #agendadigitale

Sono sempre di più convinto che il mondo, sotto un profilo culturale, si stia articolando secondo due categorie di pensiero.

Naturalmente mi riferisco all’impatto che l’innovazione I.C.T. ha e avrà sul nostro modo di vivere.

Troppo spesso siamo portati a trascurare che I.C.T. vuol dire tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Comunicare e informarsi (informare, essere informati) sono l’essenza del tutto, a partire dall’organizzazione delle nostre città.

Il modo di comunicare e di informarsi attiene all’essenza del nostro essere “esseri umani”.

La rivoluzione riguarda quindi il nostro essere umani. Profondamente, più di quanto siamo portati a pensare e a percepire.

Una parte considerevole degli appartenenti alle “governance” continuano a ragionare secondo i parametri economici e sociali del secolo scorso. Uso, non casualmente, il termine “governance”, non è solo la politica ad essere arretrata culturalmente.

Conservatrice, si sarebbe detto in altra epoca.

Di fronte all’I.T. oggi si dimostrano conservatori banche, università, industriali, TELCO.

L’informazione I.T., secondo costoro, andrebbe adattata al presente, a ciò che siamo o che abbiamo organizzato nel tempo.

Faccio un esempio molto semplice.

La carta d’identità rappresenta, secondo i parametri del secolo scorso, il nostro “essere qualcuno”. Per molto tempo sarà ancora così.

Peccato che su Internet, dove trascorriamo ormai grande parte della nostra vita, in realtà siamo rappresentati “solo” da dei nickname, degli alias. In realtà per le istituzioni in rete non siamo nessuno.

Ora i conservatori di casa nostra vendono la carta d’identità elettronica come una grande vittoria. In realtà la carta d’identità elettronica è l’aver trasferito un supporto cartaceo su un supporto di plastica. Si confonde così il mezzo con il fine.

Nessuno che rifletta sul fatto che “io” devo essere proprio “io” nel mondo materiale, come in quello immateriale.

Larga parte dell’Agenda Digitale è improntata a questi limiti culturali profondi. Non è un problema di tecnologia, è l’assenza della cultura ciò che fa la differenza.

Ed è qui, attorno a questi nodi, che il nostro Paese si è arenato.

Segnalo ancora la recensione  del libro di Franco Bernabé “Libertà vigilata. Privacy, sicurezza e mercato nella rete”, dai “…social network potenziali rischi per la democrazia”.

La quintessenza della conservazione. E’ l’opposto di quanto si dovrebbe fare, la riproposizione delle solite idee: la difesa della privacy, l’approccio alle libertà di Internet secondo i parametri del ‘900, il timore per tutto ciò che è social.

Suvvia, un pò di coraggio è l’epoca della condivisione. Anche una gestione corretta della condivisione può generare business.

Che fare? Difficile a dirsi.

Sarebbe necessario un ricambio profondo, radicale, nelle classi dirigenti.

E’ sicuramente un problema di giovani versus anziani.Ma è anche (soprattutto) necessario un ricambio culturale quello che andrebbe perseguito. Le nuove idee devono prendere il sopravvento. E’ la seconda corrente di pensiero.

Un suggerimento potremmo rivolgerlo a tutti coloro che sovrintendono ad incentivare la progettualità I.T. nelle città (smart cities).

Andrebbero premiate le progettualità che si prefiggono di cambiare radicalmente le procedure, la qualità dei prodotti, i comportamenti delle persone, i rapporti tra e con le Istituzioni.

Cominciamo ad immaginare le nostre città secondo parametri culturali profondamente diversi. Quelle città che vorremmo “smart”, intelligenti.

p.s. a proposito di idee conservatrici, come è quella che vorrebbero tassare Google???

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